Contesto normativo e rilevanza della pronuncia
La Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, è lo strumento giuridico di riferimento per contrastare i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali, in particolare a tutela delle piccole e medie imprese (PMI) frequentemente esposte a prassi abusive da parte di controparti economicamente dominanti.
L’art. 3, par. 5 della direttiva stabilisce che:
"Gli Stati membri provvedono affinché il termine di pagamento stabilito nel contratto non superi i 60 giorni di calendario, a meno che non sia espressamente convenuto diversamente nel contratto e a condizione che ciò non sia gravemente iniquo per il creditore."
Questa norma consente, in via eccezionale, termini di pagamento superiori a 60 giorni, ma solo se due condizioni cumulative sono rispettate:

Devono essere espressamente pattuiti tra le parti;

Non devono risultare particolarmente iniqui per il creditore.

Fatti della causa principale
• Il procedimento coinvolge due società polacche:
o P. (committente), impresa attiva nel settore estrattivo del carbone;
o A. (fornitore), impresa produttrice di macchinari per l’industria mineraria.
• Le parti avevano stipulato più contratti di fornitura, spesso a seguito di procedure di gara pubblica o private aste, i cui termini di pagamento erano fissati in 120 giorni, decorrenti dalla data di emissione della fattura.
• Tali condizioni contrattuali, inclusi i termini di pagamento, erano unilateralmente imposti dalla società committente P., tramite modelli contrattuali predisposti in modo standardizzato, senza alcuna effettiva trattativa.
• La società fornitrice A. ha successivamente agito in giudizio per ottenere il pagamento degli interessi moratori e dell’indennizzo per i costi di recupero crediti, sostenendo che i termini di pagamento superiori a 60 giorni non erano validi, poiché imposti unilateralmente e non espressamente negoziati.

Questione pregiudiziale sollevata al giudice dell’Unione
Il giudice polacco ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte di giustizia la seguente questione:
Se si possa considerare "espressamente concordato" ai sensi dell'art. 3(5) della Direttiva 2011/7 un termine di pagamento superiore a 60 giorni stabilito unilateralmente da una sola parte contrattuale, mediante l’uso di condizioni generali di contratto standardizzate, senza che l’altra parte abbia avuto una reale possibilità di negoziarlo.

Valutazione della Corte di giustizia
Sul significato di "espressamente concordato"
La Corte chiarisce che:
• La nozione di "espressamente concordato" non si esaurisce nella mera presenza del termine nei documenti contrattuali.
• È necessario un reale consenso negoziale tra le parti. Questo consenso deve risultare da una chiara manifestazione di volontà, anche implicita, purché sia verificabile dalle circostanze complessive (come evidenziare in modo specifico la clausola derogatoria nel testo del contratto).
Pertanto, non può considerarsi valida una clausola con termine superiore a 60 giorni:
• Se è inserita automaticamente in un contratto predisposto da una sola parte;
• Se il fornitore non ha avuto possibilità reale di negoziare;
• Se il fornitore ha accettato per necessità economica o vincoli di gara.
Sull’assenza di particolare iniquità
La Corte sottolinea che, anche laddove il termine fosse "formalmente concordato", esso non è valido se risulta "gravemente iniquo" per il creditore. Questo aspetto deve essere verificato caso per caso, tenendo conto:
• Della posizione economica delle parti;
• Della distribuzione del potere contrattuale;
• Del fatto che l’offerta economica del creditore potrebbe essere condizionata dall’urgenza di concludere l'affare.
Nel caso concreto, il creditore era in posizione di debolezza, e non aveva ottenuto alcuna contropartita a fronte dell’accettazione di un termine così lungo.

Implicazioni operative e principi generali emergenti
Principio 1: vincolo dei 60 giorni come regola generale
Il limite dei 60 giorni non è meramente indicativo: costituisce il termine massimo salvo eccezioni strettamente controllate.

Principio 2: standard contrattuali unilaterali non vincolano automaticamente      Un contratto predisposto unilateralmente (standard form) non può costituire valido accordo derogatorio al termine dei 60 giorni, salvo prova del reale consenso e conoscenza specifica del termine.

Principio 3: il giudice nazionale deve valutare l’equità della clausola
Anche in presenza di accettazione formale, l’analisi sulla particolare iniquità è obbligatoria. Essa deve considerare:
• L’assenza di effettiva negoziazione;
• La dipendenza economica del creditore;
• L’imposizione unilaterale del termine.

Conclusione della Corte
La clausola contrattuale che stabilisce unilateralmente un termine di pagamento superiore a 60 giorni da parte del debitore non soddisfa il requisito dell’“espressa pattuizione”, se:
• Non è stata oggetto di negoziazione;
• Non emerge una volontà chiara e condivisa;
• È contenuta in un contratto standard imposto da una sola parte.
Inoltre, anche laddove detta clausola risultasse accettata, essa è invalida se comporta un’ingiustificata disparità a carico del creditore, specie in contesti di squilibrio di potere contrattuale.

Considerazioni finali e utilità pratica per professionisti
Questa pronuncia fornisce un potente strumento di tutela per le PMI, che frequentemente subiscono condizioni contrattuali onerose imposte da grandi imprese. Essa può essere invocata per:
• Impugnare termini di pagamento superiori a 60 giorni anche se accettati in apparenza;
• Richiedere interessi moratori e compensazioni legali;
• In sede contrattuale, esigere una negoziazione effettiva e tracciabile delle clausole derogatorie.
Inoltre, la sentenza si presta a essere utilizzata nella prassi contrattuale per formulare clausole conformi, evitando contenziosi.